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LA SOLITUDINE DEL PROTAGONISTA

MASTERCLASS

Condotto da
FEDERICO GRASSI

Curriculum Vitae

Non è semplicemente questione di sottotesto. Si tratta di sopra-testo.

Nel percorso di ricerca e costruzione del personaggio, del lavoro di concertazione corale della messa in scena, arriva sempre per l’attore, come un destino ineluttabile, l’istante della solitudine. Ed è auspicabile, necessario che arrivi, oserei dire.

E’ l’istante del precipitare. Quando la parola diventa memoria. Quando l’interpretazione prende davvero forma. Quando l’attore diventa autore di sé stesso. L’istante dell’assunzione di responsabilità, senza la quale ogni azione rimane gratuita, senza significato. Senza la quale non può dirsi vita.

E’ il destino di ogni personaggio, di ogni esistenza.

Il compito che mi propongo di svolgere durante la masterclass è quello di lavorare sui motivi e sulle tecniche per sviluppare e dilatare questo istante creativo che, a mio giudizio, un attore deve seguire per giungere alla vera ed autentica interpretazione del personaggio.

Analizzeremo direttamente in scena alcuni monologhi e brani da “Edipo re” di Sofocle, “Macbeth” di W. Shakespeare e “Enrico IV” di L. Pirandello.

RIDOTTO PIRANDELLO

Il Teatro Sociale di Busto Arsizio, fondato nel 1891 come teatro d’opera su progetto di Achille Sfondrini, già autore del teatro Costanzi di Roma, subisce, nel corso della sua secolare vicenda, due importanti ristrutturazioni.

La prima è realizzata nel 1935 da un giovane Ignazio Gardella con un magistrale progetto, presentato da Edoardo Persico su Casabella: l’architetto non solo “ammoderna” il vecchio teatro aumentandone la capacità, ma anche esalta magnificamente l’impianto dello Sfondrini e soprattutto la sua cupola dipinta, creando “un’atmosfera estremamente fantastica, nel gusto di un De Chirico.”

La seconda ristrutturazione, stavolta distruttiva, è attuata dall’ingegner Mario Cavallè nel 1955 per meglio ospitare il killer dell’opera, il cinema: nell’intento di realizzare una vasta e razionale sala cinematografica con platea e galleria, si manomette irreversibilmente il bellissimo interno.

Il ridotto ottocentesco viene abbandonato e reso inaccessibile al pubblico: il pavimento, infatti, viene notevolmente rialzato per realizzare sotto di esso l’accesso alla nuova galleria e viene costruita la nuova cabina di proiezione proprio nel vasto interno ancora sostanzialmente integro.

Con il progetto di recupero, voluto da Delia Cajelli, Daniele Geltrudi intende mantenere “letterariamente” leggibile la storia di questo ambiente e del Teatro Sociale, raccontata con i seguenti temi.

1- L’interno del ridotto, così come delineato dallo Sfondrini e come è sopravvissuto: la volta “a schifo” con il lacerto del cielo dipinto, i tre finestroni sulla via Dante, i quattro caratteristici “oculi” rimasti sui lati.

2- La cabina di proiezione inserita a forza dal Cavallè, mantenuta come trovata anche con le sue scale industriali, ma frattazzata a cemento grigio a vista, a contrasto con il bianco generale.

3- L’impianto scenico “prospettico”, appoggiato alla cabina e realizzato in stucco nero non cerato e con un soffitto e un nuovo pavimento in legno industriale nudo.

L’allestimento fisso nel ridotto è una citazione di uno dei quattro fondali prospettici del “Carro di Ilse” per “La favola del figlio cambiato (spettacolo per i Giganti)” di Delia Cajelli da Pirandello, realizzato da Arianese nel 1983 su disegno di Geltrudi.

Il Ridotto, evoluto come una contemporanea sala prove del Teatro Sociale, è inaugurato nel 2008 e dedicato da Delia proprio a Luigi Pirandello.

Ed è veramente significativo che questo spazio, ove è visibile la profondità storica, questa complessa e discontinua vicenda architettonica, sia ora e definitivamente lo spazio della nuova “Scuola di Teatro Delia Cajelli”: perchè, come dice Thom Mayne, “l’architettura può impegnarsi profondamente nell’atto educativo”.

Fatto